lunedì 29 dicembre 2014

La musica e i suoi effetti benefici

Da un punto di vista prettamente psicologico, nel trattamento dell’autismo viene sempre più spesso utilizzata la tecnica della musicoterapia. Diversi anni di ricerca hanno, infatti, dimostrato gli effetti positivi della musica sul comportamento umano, già prima della nascita. Il suono, la musica, il ritmo caratterizzano l’ambiente intrauterino e accompagnano, in seguito, tutto lo sviluppo del bambino facilitando e promuovendo la coordinazione, la regolazione, l’armonizzazione e la sintonizzazione con l’altro, oltre al suo sviluppo motorio, cognitivo e affettivo.


Come spiega la Dr.ssa Alicia Gibelli (www.diversamenteonlus.org), studi scientifici hanno evidenziato “che l'ascolto e la produzione musicale attivano contemporaneamente diverse regioni cerebrali. Inoltre, la musica attiva il sistema limbico della gratificazione, provocando forti reazioni emotive di piacere, e il sistema neurovegetativo provocando reazioni fisiologiche misurabili quali l'accelerazione o decelerazione del battito cardiaco, reazioni cutanee, sudorazione, corrispondenti a diversi stati emotivi. Infine, la musica stimola i nostri sensi, nel senso che quando viene ascoltata dal vivo o prodotta non viene percepita soltanto come suono attraverso il sistema uditivo, ma anche visivamente (ad esempio, vediamo chi suona), tattilmente (sentiamo delle vibrazioni), in maniera psicomotoria (percepiamo una sequenza di movimenti o di diteggiature), in modo simbolico (quando ci riferiamo ad un codice che la rappresenta)”.

sabato 20 dicembre 2014

Che musica deve entrare al nido?


Al nido deve entrare una musica che parte dal desiderio dei bambini e dai loro bisogni che si dovranno sottomettere ai saperi musicali, in un percorso dinamico che ha a che fare con l'emozione, il piacere, il benessere, che pone l'accento sul fare, esplorare, manipolare, provare, sperimentare, che mira all'equilibrio fra esperienza sensoriale e teoria, che persegue il coinvolgimento attivo dei piccoli piuttosto che la fruizione passiva, che considera l'apprendimento come opportunità e non come unico obiettivo dominante, che risiede nella relazione, che valorizza tutte le capacità e le potenzialità di ogni singolo individuo.
Questo fare musica si concretizza nel gioco, il gioco dei sensi che da piacere e gratificazione, che si modula sui potenziali reali dei bambini per evitare vissuti di inadeguatezza e frustrazione, che impedirebbero la crescita personale e la comunicazione attraverso la musica.
L'adulto non insegnerà, bensì sarà colui che propone materiali e spunti adeguati a sviluppare le capacità di fare e produrre musica, promuovendo il coinvolgimento attivo e potenziando l'intelligenza musicale. Lo spazio che accoglie questo "fare musica" è il laboratorio, ove il fare si mescola con il desiderio, il gioco, il benessere, la relazione, ove si salda la frattura fra corpo e mente, ove si privilegia una progettualità dinamica. Il laboratorio sonoro e i suoni contenuti, modalità e progetti, rientra nella pratica consolidata di animazione musicale, sociale e culturale e si occupa di educazione. Ogni intervento/laboratorio avrà una sua specificità dettata dall'animatore stesso, dalla sua formazione, dall'identità musicale e dal contesto dove si trova ad operare. L'animazione musicale è una pratica che collega, congiunge, crea relazioni tra diverse discipline per favorire l'incontro con la musica. Una musica però non intesa come corpus di contenuti disciplinari codificati, ma l'esperienza umana e sociale della musica; un'esperienza musicale vista come incontro-confronto-trasformazione di risorse, desideri e identità.
Molti interventi di carattere  sonoro musicale al nido devono essere riletti e rinominati, poiché i loro contenuti stazionano tra l'educazione e l'animazione musicale e l'équipe educativa e gli esperti del settore dovrebbero esserne consapevoli.


giovedì 18 dicembre 2014

giovedì 11 dicembre 2014

La canzone come strumento terapeutico e riabilitativo – Report dal Congresso di Modena, 24 Ottobre 2014

Se l’arte, compresa la musica, è di fatto un mediatore empatico della comunicazione tra l’artista e il suo fruitore e se, come ha spiegato Jasper, il disagio mentale non si può non capire senza empatia, si dovrebbe poter affermare che un resoconto artistico che tratta il tema della sofferenza psicologica può effettivamente facilitare la comprensione della psicopatologia ed un esempio in questo senso potrebbe essere la canzone d’autore all’interno di un percorso terapeutico.

Nell’ambito della Settimana della Salute Mentale Mat 2014, Venerdì 24 Ottobre presso La Tenda di Modena si è svolta la mattinata di studio dal titolo “La canzone come strumento terapeutico e riabilitativo”, promossa dall’Associazione Escomarte, l’Ospedale Privato Villa Igea e ovviamente dagli psicantrici (Segreteria scientifica: Dr. G. Palmieri).
Dopo i saluti del Dr. Paganelli di Escomarte e del Dr. Lorusso, Direttore Sanitario di Villa Igea, ha aperto le danze il Dr. Stefano Mazzacurati, psichiatra e scrittore, che, da raffinato intellettuale ed umanista, ha fatto un excursus sul significato storico e psicologico della canzone.
Mazzacurati ha messo in luce diversi aspetti di questa forma musicale, dall’antichità fino ai giorni nostri, partendo dalle canzoni provenzali e soffermandosi su un canto delle lavandaie napoletane,”Jesce sole”, in cui l’elemento consolatorio individuale del cantare era centrale.
Ha suddiviso la canzone poi in quattro diversi filoni: la canzone feuilleton, la canzone rock, la canzone d’autore e la canzone ironica. Ha poi riflettuto sul senso della canzone e dell’uso che ogni individuo ne può fare: tra chi la considera come un megafono di uno stato d’animo che già si prova e chi invece la utilizza come leva per far provare delle emozioni. Ha concluso che lo spazio delle canzoni è lo spazio dell’io, che nasconde un’intenzione ed è alla ricerca di un significato.
Successivamente è stato il turno del Dr. Gabriele Catania, psicologo clinico dell’Ospedale Sacco di Milano e docente universitario, ma soprattutto autore dell’interessantissimo libro “La terapia De Andrè” (2013), che racconta esperienze dell’uso di canzoni di Faber in contesti psicoterapici.

Il Dr. Catania ha iniziato il proprio intervento citando il concetto di empatia e di “giusta distanza” del famoso filosofo e psichiatra tedesco Karl  Jasper, ricordando che “nell’atto dell’approccio empatico, lo psicopatologo è come un attore che si immedesima nel personaggio pur restando se stesso” (Jaspers,1959).
Catania ha illustrato le basi neurobiologiche dell’empatia con riferimenti agli studi sui neuroni specchio e alla neuroestetica, un’area di ricerca che coinvolge le scienze cognitive e l’estetica e che affianca un approccio neuroscientifico alla consueta analisi estetica della produzione e della fruizione di opere d’arte.
Recentemente alcuni ricercatori, tra cui il Professor Vittorio Gallese, che fa parte del gruppo degli scopritori dei neuroni specchio assieme a Rizzolati, Fadiga e Fogassi, hanno potuto osservare l’attivazione della corteccia motoria in presenza di un’opera visiva astratta (nel caso specifico i tagli su una tela di Lucio Fontana), che non rappresentava alcun corpo in movimento.
Il collega ha ipotizzato che tale risonanza emotiva si possa stabilire anche per le altre forme artistiche, come ad esempio tra un musicista e chi lo ascolta. Alcuni studi hanno mostrato come il livello di empatia di un musicista in concerto sia direttamente correlato all’attività delle aree frontali dell’emisfero cerebrale destro dove risiedono i sistemi dei neuroni specchio.
E’ stato inoltre osservato che i musicisti più coinvolti nell’esecuzione mostravano livelli di empatia più elevati, il che equivale a dire che la capacità di suonare in concerto è correlata alla comprensione dei comportamenti, delle emozioni e delle intenzioni dell’altro. Secondo quanto sostenuto dalla neuroestetica dobbiamo aspettarci che lo spettatore, nell’osservare i movimenti di un artista nella sua performance musicale partecipi, attraverso l’attivazione dei suoi neuroni specchio, alla performance stessa condividendone i contenuti emotivi. E questo è evidente a chiunque partecipi a un concerto, come è altrettanto intuibile che questi stessi effetti di compartecipazione emotiva si possono ottenere anche durante il solo ascolto di un brano musicale, perché nella nostra mente l’immaginazione ha gli stessi effetti della realtà esterna.
Se dunque l’arte, compresa la musica, è di fatto un mediatore empatico della comunicazione tra l’artista e il suo fruitore e se, come ha spiegato Jasper, il disagio mentale non si può non capire senza empatia, si dovrebbe poter affermare che un resoconto artistico che tratta il tema della sofferenza psicologica può effettivamente facilitare la comprensione della psicopatologia ed un esempio in questo senso potrebbe essere la canzone d’autore all’interno di un percorso terapeutico.
Il collega ci ha poi fornito un esempio dell’utilizzo della canzone “Un matto” di De Andrè durante il lavoro clinico con un paziente affetto da psicosi, ascolto effettuato con l’obiettivo di aiutare quel paziente ad accettare meglio la cura e a collaborare in modo più funzionale al progetto terapeutico. Ci ha poi reso partecipi del nuovo progetto “Faber in mente”, un concept disc, realizzato dall’associazione Amici della mente Onlus in collaborazione con la scuola di musica Cluster di Milano, in cui i testi di nove brani di Fabrizio de Andrè, sono stati riscritti dal Dr. Catania, nel tentativo di rappresentare in modo empatico la dimensione esistenziale delle storie cliniche che ha raccontato nel suo libro “La terapia De Andrè”.
Durante la pausa c’è stata l’esibizione della psychiatric band Fermata Fornaci nata all’interno del Day Hospital di Villa Igea e coordinata dalla cantautrice Barbara Rosset. I ragazzi hanno regalato tre brani del loro vasto repertorio.
I lavori sono ripresi con la presentazione del musicista e musicoterapeuta Paolo Alberto Caneva, coordinatore e insegnante del corso di musicoterapia del Conservatorio di Verona, che svolge la propria attività clinica in un centro diurno psichiatrico ed è autore del libro “Songwriting. La composizione di canzoni come strategia di intervento musicoterapico” (2007). La presentazione del collega è stata suggestiva, poichè ha privilegiato gli aspetti visuali e musicali per chiarire il suo punto di vista sulla musicoterapia.
Attraverso i filmati proposti (tra cui un meraviglioso estratto del film Yes Man con Jim Carr) ha sottolineato che l’obiettivo primario della musicoterapia è quello di dare la possibilità a chiunque di partecipare al “fare musica” e di scoprirsi protagonista di tale processo ludico e creativo. Ha poi dato la parola alla musica, facendo ascoltare tre brani composti dagli utenti del suo centro e sottolineando con la pratica che “quello che non riusciamo a dire, possiamo cantarlo!”.
La mattina si è conclusa con il doppio intervento del dott. Palmieri e del dott. Grassilli, che hanno raccontato la propria esperienza sull’uso della canzone presso l’Ospedale Privato Villa Igea.
Il Dr. Grassilli ha raccontato l’esperienza di songwriting presso la Residenza e Semiresidenza per adolescenti Il Nespolo e presso la Residenza Psichiatrica a Trattamento Protratto Il Borgo. Grassilli ha illustrato la struttura del laboratorio con le varie attività proposte: realizzazione di canzoni (cover) richieste alla fine dell’incontro precedente (possibilità di arrangiamenti e accompagnamenti musicali), riscrittura del testo di canzoni, adattamento di testi su basi musicali, songwriting di testi e musiche originali.
Ha poi mostrato il procedimento per la costruzione di una canzone in gruppo, una volta scelto un tema, partendo da brevi frammenti musicali fino alla strutturazione di strofe e ritornelli. L’accento è stato posto anche sulla possibilità che offre la canzone di poter parlare di sé, in relazione al tema affrontato e di come ad esempio l’evoluzione del personaggio della canzone, durante lo sviluppo del testo, crei possibili agganci con le storie e le narrative degli utenti (condivisione dei vissuti, strategie di coping, elaborazione e confronto rispetto al tema ad esempio del “sentirsi inadeguati e giudicati”). Infine è stata fatta ascoltare una canzone creata da un utente alla quale tutto il gruppo si è impegnato per la registrazione e per il canto nei ritornelli.
Il Dr. Palmieri ha descritto il gruppo di ascolto settimanale di canzoni che conduce con utenti psichiatrici ricoverati presso il reparto Villa Centrale. Ha portato l’esempio dell’utilizzo di una scheda ABC musicale che aiuti gli utenti a identificare in modo più preciso pensieri, stati emotivi e immagini evocati dalla canzone. Anche in questo caso i contenuti dei brani e le storie dei cantati entrano in risonanza con le storie e i vissuti degli utenti, fornendo stimoli importanti per lo svelamento e la condivisione di episodi di vita e stati mentali problematici, che possono successivamente essere ripresi nelle sedute psicoterapiche individuali.
Palmieri ha inoltre presentato un’esperienza di songwriting nell’ambito dello stesso gruppo, che ha portato alla riscrittura de La canzone di Marinella di De Andrè. In questo caso la storia della protagonista viene sostituita dalla storia dell’utente, pur mantenendo lo schema metrico e la struttura in rima. Tale esercizio costituisce uno sforzo di sintesi metanarrativa in cui il paziente cerca rileggere il proprio disagio e i motivi che l’hanno portato al ricovero, distanziandosi in modo critico.

                           
                                                                                                       Gaspare Palmieri, Cristian Grassilli



Articolo tratto da: http://www.stateofmind.it/2014/11/canzone-come-strumento-terapeutico-report-congresso-modena-2014/

giovedì 4 dicembre 2014

Musicoterapia, educazione musicale o...


Nido per bambini dai tre mesi ai tre anni -bilinguismo, musicoterapia, pediatria, cucina intena, pedagogista, psicologa...

...è ciò che leggo in un'inserzione sulle pagine bianche e resto sorpresa. perché mai dei bambini dai 3 mesi ai 3 anni dovrebbero fare musicoterapia e/o avrebbero bisogno di un musicoterapeuta? Sono malati, disabili, portatori di handicap, con problemi psichici, comportamentali e/o relazionali? Se mai dovessimo essere in presenza di un problema specifico e diagnosticato la musicoterapia non si farebbe al nido -così come al nido non si fa logopedia!- poichè richiede al musicoterapeuta di lavorare in un' équipe riabilitativa ove si condividono e si perseguono obiettivi terapeutici e un progetto, utilizzando un definito per l'intervento. Solo in questo caso il musicoterapeuta impiegherà la musica e le sue componenti costitutive - il suono, il silenzio, il ritmo, il movimento- come risorse essenziali per il conseguimento di obiettivi terapeutici, tanto a livello psicologico che a livello fisico.
La musicoterapia è, infatti, definita "disciplina scientifica" che si affianca ad altre di tipo medico, psicologico e riabilitativo in un quadro di presa in carico globale del paziente; non si pone tra gli obiettivi l'apprendimento musicale, bensì la costruzione di una relazione attraverso la quale il paziente recupera le sue parti sane.
L'attività musical,e pertanto, non è terapeutica in se stessa, poiché la musica è naturalmente stimolatore di comportamenti diversi, è attivatore emotivo, è recupero di ricordi, è creatività e immaginazione... ma diventa terapeutica solo quando è utilizzata all'interno di un processo musicoterapico con obiettivi terapeutici, riabilitativi e/o preventivi, che scaturiscono il rapporto terapeuta/paziente in una situazione predisposta a tal fine. La musica che cura incontra i bisogni e le carenze della persona in difficoltà (es: quali sono i suoni che aiutano l'autistico a tirarsi fuori dall'isolamento, che lo porteranno a girarsi, a cercare e a guadare la fonte sonora? Qui l'obiettivo terapeutico è l'apertura del canale comunicativo).
Al nido allora non si fa musicoterapia e non si fa nemmeno educazione musicale, le cui componenti fondamentali sono proprie dell'insegnamento e dell'apprendimento sonore-musicale.
L'educazione musicale, infatti, si propone di trasmettere concetti e abilità propri di una specifica disciplina, attraverso interventi didattici mirati e, poiché l'apprendimento delle nozioni teoriche è l'ultimo momento di un processo che inizia da esperienze pratiche vissute dai bambini a livello sensoriale, allora all'interno del nido non si possono/devono attivare degli interventi di educazione musicale.

Maria Teresa Nardi